Ogni anno, nelle giornate dell’1 e del 2 novembre, gli abitanti dei quartieri del Borgo si riunivano in gruppi e nel primo pomeriggio si recavano processionalmente verso l’antico Monastero di Colle Sant’Agata (“gliù viaje”, il viaggio) per far memoria delle vittime dell’epidemia di colera avvenuta a Gaeta nel 1837.
Il rito, molto partecipato, si è svolto fino alla metà degli anni Settanta del secolo scorso.
Salendo al Colle, i fedeli recitavano la Salmodia penitenziale e il Rosario dei defunti (nel tipico gergo dialettale), di cui riportiamo la prima strofa che accompagnava la prima decade del Rosario (composto solo dai misteri dolorosi):
Liberate a noi Signore,
le anime sante del purgatorio,
per la vostra santa gloria,
in eterno in Paradiso.
Giunti alla sommità del Colle, la cerimonia si concludeva tra le rovine, in prossimità dei “trabucchi”, le cisterne utilizzate per la sepoltura dei morti a causa dell’epidemia del 1837 (ovviamente, all’interno del Monastero, riposano anche i corpi dei frati e dei terziari francescani che vi hanno dimorato). Lungo il perimetro delle sepolture, ogni anno, i fedeli depositavano dei lumini che restavano accesi fino al loro consumarsi.
Al termine della recita dell’ultimo Requiem e di altre preghiere particolari (conservate dal Maestro Nicola Magliocca), i gruppi riprendevano la discesa per incamminarsi verso casa; i lumini erano visibili per buona parte della notte dai rioni circostanti in memoria di coloro che ancora oggi riposano in quelle rovine.